E domani a mezzanotte si concluderà questo 2020, un anno pieno di contraddizioni e nuovi inizi.
È cominciato come cominciano tutti gli anni, con un mese di gennaio lento, noioso e a tratti parecchio malinconico.
Il mese di gennaio è sempre stato così per me: interminabile, freddo, letargico.
Poi, ecco febbraio, che nel calendario quest’anno aveva 29 giorni, e mi sono sempre chiesta che razza di compleanno sia per quelli nati il 29 febbraio, visto che lo possono festeggiare solo ogni quattro anni…cioè, che fanno, festeggiano prima, il 28, oppure direttamente al mese successivo? Sembra un gioco, ma il compleanno è una questione seria, e non per l’età che aumenta o cazzate del genere, ma perché in quel giorno sei nato tu e allora ti festeggi e ti festeggiano, perché sono tutti felici che tu sia venuto al mondo.
E quest’anno, il mese di febbraio ci ha riservato le prime sorprese, ci ha iniziato a lanciare i primi segnali di un cambiamento in atto, che sarebbe stato irreversibile.
Ricordo le prime notizie in circolazione sul Covid, le prime raccomandazioni del Governo, seguite poi dalle prime vere e proprie restrizioni.
Il sentire, rispetto al Covid, era abbastanza contrastante all’inizio. C’era infatti chi da una parte pensava ad una bufala e chi dall’altra, in preda alla paura più nera, avvertiva l’abbattersi di un’imminente catastrofe.
Marzo è stato il mese più tragico in assoluto. L’Italia intera bloccata, ferma, immobile.
I morti, chi si ammalava, chi veniva scelto per le cure e chi no.
La paura, il ritrovarsi soli, nudi, impotenti, di fronte a qualcosa che non potevi guardare in faccia, ma che si muoveva furtivo e veloce, senza fare sconti a nessuno.
Il silenzio. L’assordante silenzio delle nostre città, dei nostri paesi, delle nostre case, nonostante fossimo lì, tutti rinchiusi in una bolla sospesa, in un tempo sospeso.
La natura, gli animali. Gli uccelli che più di ogni essere vivente hanno vissuto al posto nostro.
Ricordo le mattine in cui andavo a lavoro. Ricordo l’autostrada deserta e una miriade di uccellini che passeggiavano allegramente fra le corsie. Ricordo che guidavo solo sulla corsia di sorpasso, nonostante la strada fosse libera, perché non volevo disturbare gli uccellini e le loro danze e mi affascinava da morire osservarli e pensare che “Cazzo, la natura si sta riprendendo il suo posto, lo spazio che gli abbiamo ignobilmente rubato” e andava benissimo così.
Mi riempiva il cuore pensare che almeno loro erano liberi di muoversi, senza restrizioni…liberi di potersi “abbracciare”, di poter stare vicini e di baciarsi. Una libertà questa, che credo valga più di mille altre libertà.
Il contatto, quel contatto che ancora oggi non possiamo vivere appieno. La paura di poter far male a chi amiamo, anche solo respirandogli vicino e…sì, torneremo ad amarci, ad amare, ma non oggi, non ancora.
Poi ci sono stati i mesi della parziale riapertura, ripartenza, del timido tornare ad una normalità, che nulla aveva a che fare con la normalità che conoscevamo.
Rincontrarsi, dopo mesi di isolamento, indossando una mascherina.
Il volto dell’altro parzialmente coperto dalla mascherina.
La bocca dell’altro che non riesci a capire se accenna ad un sorriso o se è contratta in una smorfia.
Gli odori che non riesci a percepire, perché il tuo naso è nascosto, e poi gli occhi… cacchio io li ricordo gli occhi, lo sguardo di chi timidamente si riaffacciava ad una nuova vita, più complicata, un po’ meno serena, ma non per questo non degna di essere vissuta.
Le vacanze le abbiamo più o meno fatte. Dopo la paura di dover andare in spiaggia, separati da pannelli di plexiglass, ci siamo riaffacciati anche all’esperienza di vivere i mesi estivi in una sorta di semi normalità.
La voglia di vita, il bisogno di allontanare lo spettro dei mesi precedenti e ancora una volta, il tornare a stare insieme.
Eh sì, perché i mesi di lockdown sono stati mesi durissimi. Ci siamo trovati, chi più chi meno, davanti alle nostre debolezze, alle nostre paure, ai nostri limiti, alle cosiddette “ombre” che ci abitano.
Ci siamo ritrovati da soli, nonostante fossimo in compagnia dei nostri cari, della nostra famiglia, perché quello che la vita ci stava offrendo era l’opportunità di metterci a nudo, di venire allo scoperto, ciascuno secondo i propri modi e tempi.
Così, dopo esserci “camminati dentro”, dopo aver esplorato chi veramente siamo, ci siamo sentiti pronti per ripartire in un modo decisamente nuovo, per tornare a stare insieme.
La depressione dei mesi bui, l’aggressività che a mano a mano ha cominciato ad emergere, erano infatti tutti segni di una rinascita in atto, una rinascita che stiamo ancora compiendo e che ci condurrà nella luce, la nostra luce.
Come è il momento della gestazione, quando il feto è nella pancia della mamma e vive e sente tutto e affronta ogni cosa come riesce, certo che c’è qualcosa o qualcuno che si sta prendendo cura di lui, e con la serenità nel cuore, che arriverà il giorno del parto e che sarà pronto ad affrontarlo, così anche noi ci stiamo preparando a quel nuovo inizio, al nostro nuovo cammino, che percorreremo con la consapevolezza di chi, quella luce ora la porta dentro di sé.
Che i giorni, le settimane, i mesi e gli anni futuri, siano ciò che ognuno di noi avrà bisogno di vivere, per ritornare all’origine di ogni cosa, laddove tutto ha avuto inizio e laddove tutto continuerà a scorrere.