Non esiste luogo ove non si possa meditare, ove non si possa stare con sé stessi, anche solo per pochi minuti ed il bagno dell’ufficio di certo non è un’eccezione.
Ricordo ancora il volto interrogativo della mia collega, neo assunta, quando mi vedeva entrare in bagno abbastanza frequentemente e rimanerci per parecchi minuti.
Da fuori, e lo so per certo perché la mia postazione confina con la toilette, quindi posso dirvi con esattezza se una collega ha fatto la pipì o la cosa pesante, non si sentiva nulla. Né acqua del rubinetto scorrere, né liquidi fisiologici uscire, ma io stavo là dentro anche per cinque minuti, per poi uscirne rilassata e sedermi alla scrivania come se nulla fosse, per riprendere l’attività interrotta.
Ebbene sì, io in quel bagno, anzi mi correggo, nei due bagni che ci sono in ufficio, spesso medito.
Quando mi accorgo che qualcosa dentro di me “non va”, quando sento salire lo stress, magari per qualche lavoro urgente da consegnare oppure perché le priorità sono tante e non riesco a dare una “priorità alle priorità”, mi prendo qualche minuto per me e mi chiudo in bagno.
Già il solo fatto di chiudere la porta alle mie spalle mi dà sollievo, è come se mettessi un confine ben marcato fra me e il mondo esterno, fatto di rumori, mormorio e frenesia e in quel bagno, ritrovo il mio Centro.
La mia esperienza: cosa accade in quel bagno
Quando la situazione è davvero “grave”, opto per il bagnetto cieco. Quello sì che è una figata.
Entro, individuo con lo sguardo la tazza del cesso, prendo bene le misure per evitare di sbattere contro qualche mobile o parete, e poi spengo la luce. Mi siedo sopra alla tavoletta del water e chiudo gli occhi.
Inizialmente le voci dei colleghi che parlano al telefono, che ridono fra di loro o della stampante che parte, mi tiene ancorata al mondo che sta fuori, ma in poco tempo porto l’attenzione al mio interno e sono lì, io e il mio mondo interiore.
Mi concentro sulla respirazione. Inspiro ed espiro, senza fretta…
I pensieri si affacciano nella mia mente e mi viene da sorridere perché li immagino come nuvole passeggere che il vento soffia via, a volte velocemente, altre più lentamente, ma va bene così.
Torno sul mio respiro. Inspiro ed espiro… poi magari un rumore mi distrae e mi fa pensare che fuori c’è il mondo, che ci sono le “priorità alle quali no so dare delle priorità” e sorrido ancora, immaginandomi affannata dietro alle e-mail o dietro a qualche cliente insopportabile, e riporto l’attenzione al mio interno, senza fretta, senza giudicare quello che accade.
Ritrovo il mio Centro e guardo a ciò che vuole emergere dal mio profondo.
Come ho imparato e sperimentato su me stessa, accolgo l’emozione che sale chiedendole di restare con me per tutto il tempo necessario… tanto non ho fretta.
Il tempo, così come lo conosciamo, si ferma… è come se si interrompesse per poi riprendere una volta terminata la meditazione, ed è meraviglioso accorgersi come quel frammento, quella pausa che ti sei presa dal mondo esterno, sia ricco di tesori e ci sia più vita lì, che fuori.
Solo quando mi sento davvero pronta per “tornare”, riapro gli occhi, e con dolcezza e calma riprendo contatto con ciò che mi circonda, mi guardo intorno e lentamente mi alzo, mi guardo allo specchio e la cosa sorprendente è che la faccia tesa che era entrata inizialmente con me in quel bagno, ha lasciato spazio ad un volto molto più rilassato e sereno e … sorridente.
Riaprire quella porta. Lo sguardo cambia e con esso il mondo fuori
Ecco, l’impatto col mondo fuori, dopo essere stata così in contatto con me stessa, inizialmente lascia un po’ spaesati.
Tutto quel rumore, quel via vai di persone lungo il corridoio, mi riporta di botto alla realtà e stavolta però mi accorgo che la realtà che ritrovo è diversa, magari perché ora ho occhi nuovi per guardare.
Quelle che erano tutte priorità, piano piano trovano la loro giusta collocazione nella lista di cose da fare da 1 a 100.000 e tutto scorre con fluidità.
Non ci sono più intoppi, perché semplicemente non li vedo più. Il capo stressato, che chiama in continuazione, non è più quella rottura di Bip, dalla quale vorresti liberarti, anzi, magari prendiamo insieme anche un caffè scambiando quattro chiacchiere.
Staccare, anche solo per pochi minuti, aiuta a ritrovare il Centro, quel Centro che spesso smarriamo, perché presi dalle cose esterne, dai solleciti, dalle scadenze, dai lavori urgenti da consegnare, per finire in un vortice che rischia di risucchiarci fino al midollo, senza lasciare respiro.
Meditare in ufficio dovrebbe diventare una regola
Ecco, io la meditazione in ufficio la inserirei proprio fra gli articoli di legge che disciplinano il mondo del lavoro.
Concedere ai dipendenti del tempo per sé stessi, per staccare, quando i livelli di stress e tensione si innalzano, credo debba diventare una buona regola.
Studi recenti hanno infatti dimostrato che avere dei dipendenti felici, sereni, con un buon equilibrio interiore, oltre a determinare un incremento della produttività, migliora anche l’ambiente circostante; dunque le discussioni diminuiscono, i progetti vengono ultimati in tempi brevi e la creatività del singolo va alle stelle.
Quindi, il consiglio che posso darvi, per la mia esperienza, è quello di ritagliarvi sempre del tempo.
Quando l’ansia sopraggiunge, quando la voglia di mandare a quel paese il capo o i colleghi sale vertiginosamente, fermiamoci un attimo. Bastano infatti pochi minuti per chiudere gli occhi e ritrovare il nostro Centro, dove scorre tutta la nostra energia e dove tesori inestimabili vivono.
E chissà che non arrivi anche un aumento di stipendio… a me è successo: lavori portati a termine in breve tempo e nel migliore dei modi, capo felicissimo e un bell’aumento in busta paga, che non fa mai male!